Soumaila ha 22 anni, è arrivato a Piacenza nel marzo del 2014. Fa parte dei giovanissimi originari della Costa d’Avorio arrivati in città insieme ai primi gruppi di richiedenti asilo. Proprio quelli partiti dall’Africa a bordo dei barconi, gli stessi che si vedono sulle pagine dei giornali o nelle immagini dei tg. Raccontare la sua storia gli costa fatica, si vede, ripercorrere i momenti che lo hanno staccato dalla famiglia, la guerra civile che oggi sta vivendo il suo paese, lo rattristano. “Sono arrivato con in barconi dalla Sicilia – racconta – poi a Bologna in aereo e in pullman a Piacenza dai Frati di Santa Maria di Campagna”. Soumaila, insieme a 13 connazionali, è ospite dei frati minori di santa maria di campagna. Una convivenza segnata da regole, orari, pranzi e cene insieme, turni per la preparazione dei pasti. Poi la scuola. Soumaila, nel suo anno e mezzo di permanenza a Piacenza ha ottenuto la licenza media e studiato l’italiano che oggi parla correttamente ed è stato invitato, insieme al mediatore culturale della Caritas in alcune scuole della città per raccontare la sua esperienza. “Quando sono arrivato a Piacenza ho incominciato ad andare a scuola ed ho preso la licenza media, è stata dura ma, con l’impegno, ce l’ho fatta. Quando vado nelle scuole a raccontare la mia esperienza i ragazzi mi chiedono perchè sono scappato dal mio paese; loro pensano che noi siamo venuti in Italia per rubare il lavoro, ma non è così. Abbiamo bisogno di amici – spiega – di gente con cui parlare per imparare la lingua. I primi tempi mi sono sentito spesso solo, senza amici, ora però va meglio. E per il suo futuro spera di ottenere, al più presto, il permesso di soggiorno, la carta d’identità e il titolo di viaggio. E poi un lavoro, per una vita migliore. “Spero in una vita migliore, in un buon futuro, sono un uomo come voi che ha diritto a vivere una vita migliore”. Soumaila fa parte del gruppo di giovani africani accolti dalla Caritas diocesana. Una realtà che ha messo in campo professionisti e volontari per rendere l’accoglienza migliore, al di là del vitto e dell’alloggio, con un progetto di formazione volto all’integrazione e all’autonomia. “Abbiamo seguito un percorso specifico – spiega Youness Kabouchi collaboratore Caritas, mediatore linguistico e culturale progetto accoglienza profughi – che non si limita solo al vitto e alloggio, ma anche ai corsi di italiano, attività sportiva. Abbiamo provato ad integrare questi ragazzi togliendolo dall’isolamento e dalla solitudine”.
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