PRIMARIO DELL’OSPEDALE ARRESTATO PER “PRESTAZIONI MEDICHE NON DICHIARATE E PAGAMENTO IN CONTANTI”

E’ stato arrestato con l’accusa di peculato continuato e truffa aggravata continuata ai danni dell’azienda Ausl di Piacenza. I carabinieri del Nas di Parma hanno tratto agli arresti domiciliari un medico dirigente, direttore di una Unità Operativa Complessa dell’ospedale Guglielmo da Saliceto a seguito di un’articolata attività investigativa condotta sotto la costante direzione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza.

Le indagini, avviate di iniziativa dal Nucleo Antisofisticazioni e Sanità di Parma nel mese di marzo 2025, hanno consentito di accertare – secondo quanto riportato dai Nas – “che il professionista, nonostante fosse formalmente autorizzato all’esercizio della libera professione intramoenia e percepisse dalla Ausl di Piacenza una indennità annua di esclusività pari a circa 18mila euro, avrebbe effettuato prestazioni mediche private anche in giorni e orari non autorizzati, in alcuni casi coincidenti con l’orario di servizio istituzionale, omettendo la registrazione delle visite e intascando i relativi compensi in contanti senza darne alcuna comunicazione all’Amministrazione di appartenenza”.

In particolare – secondo le indagini condotte dai carabinieri – “nel periodo compreso tra il 17 e il 22 maggio 2025, l’indagato avrebbe eseguito 37 visite mediche private, incassando un totale di 3.510 euro. I pazienti non risultavano regolarmente prenotati e i pagamenti venivano effettuati esclusivamente in contanti, con un compenso medio di 100 euro per ciascuna visita. Le richieste di appuntamento venivano gestite direttamente sul telefono cellulare personale del medico, eludendo completamente i canali istituzionali previsti per l’attività intramoenia”. “Le investigazioni, condotte mediante intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno inoltre documentato – continua la nota dei Nas – che il professionista, oltre a trattenere per sé l’intero compenso senza riversare la quota spettante alla Azienda Sanitaria, in alcune occasioni si sarebbe anche appropriato di farmaci destinati alla dotazione dello studio ospedaliero, per poi regalarli ai pazienti visitati privatamente”.

Nel corso della perquisizione domiciliare svolta questa mattina dai militari, con il supporto dei colleghi del Comando Provinciale Carabinieri di Piacenza – presso l’abitazione dell’indagato, è stato rinvenuto e sequestrato denaro contante per un totale di 30.950,00 euro. Dopo le formalità di rito, l’arrestato è stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari presso la propria abitazione, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria procedente.

“ESCALATION DI VIOLENZA E VENDETTA DESTINATA A FINIRE IN TRAGEDIA. QUESTA DERIVA VA FERMATA”

Alternativa per Piacenza denuncia la brutale aggressione di mercoledì scorso a danno di alcuni giovani cittadini. Come riportano le cronache, un gruppo di persone, vestite di nero come fossero in divisa, ha assalito due ragazzi stranieri, spedendoli all’ospedale.. Un episodio grave, un’aggressione organizzata che ricorda le squadracce fasciste, purtroppo nel solco delle sempre più frequenti manifestazioni di intolleranza e vandalismo. I social sono un proliferare di volgarità xenofobe e nostalgiche; su muri, monumenti, panchine compaiono svastiche e scritte ingiuriose. È una deriva che va fermata, prima che ogni pretesto sia valido per applicare la legge della strada, in una escalation di violenza e vendetta destinata a finire in tragedia. Sostituirsi alle forze dell’ordine, pretendendo di imporre il decoro e il rispetto delle regole a cinghiate, significa confondere il patriottismo con la delinquenza spiccia. Farsi giustizia da soli, in una società civile, è da criminali, da qualunque parte la si veda.

Esiste un problema sicurezza, il degrado è diffuso. La responsabilità coinvolge però cittadini di ogni specie. Discriminare addossando colpe è parte del problema, benzina gettata sul fuoco. Se il nemico per qualcuno resta “lo straniero” o “il diverso”, noi allora siamo diversi e stranieri, non ci riconosciamo in questa sottocultura fascista e razzista, che la nostra Costituzione relega all’abominio.

L’antifascismo è oggi un dovere ancora più forte, che sarebbe in capo, di fronte a episodi di così chiara matrice, anche a quei politici locali che strizzano l’occhio a certi ambienti. È il tempo di prendere distanze in modo chiaro, il tempo della responsabilità e della fermezza, prima che ci scappi il morto. In un mondo che sembra andare a pezzi, difendere la democrazia, la pace sociale e la sicurezza di tutte e tutti – a partire dalle persone più vulnerabili – è oggi un dovere che deve unire oltre ogni appartenenza.

SINDACA TARASCONI: “IL DEGRADO NON SI COMBATTE CON IL DEGRADO. QUANTO ACCADUTO E’ SQUALLORE ALLO STATO PURO”

La prima cittadina interviene sull’aggressione del Cheope: “il degrado non si combatte con il degrado; in attesa di capire come sono andate le cose e chi siano i responsabili, la considerazione che ritengo doverosa è questa: la violenza non è mai la risposta a un problema. Mai e poi mai”

Il degrado non si combatte con il degrado. E quello a cui la nostra città ha assistito ieri sera è, senza ombra di dubbio, degrado allo stato puro: violenza, botte, facce insanguinate, tavoli ribaltati, danni e paura tra i tanti ragazzi e ragazze che stavano semplicemente bevendo qualcosa o mangiando un gelato in centro. Degrado e squallore allo stato puro, indipendentemente dalle responsabilità penali che senz’altro verranno accertate dalle forze dell’ordine intervenute sul luogo dei fatti e che ora stanno svolgendo le indagini del caso.

Parlo di degrado che non si combatte con il degrado, perché giusto un paio d’ore prima degli episodi in questione, a poca distanza da dove sono avvenuti, si riuniva un presidio organizzato dalla Curva Nord, gli ultras del Piacenza Calcio, allo scopo – si legge in una nota dei promotori – di “portare all’attenzione un problema che ormai è noto a tutti, quello dell’insicurezza e della criminalità dilagante”.

Ebbene, stando alle prime ricostruzioni – che dovranno essere confermate dall’Autorità giudiziaria, l’unica titolata a ipotizzare collegamenti e formulare accuse – pare che alcuni giovani che poco prima avevano preso parte al presidio anti-degrado siano poi rimasti coinvolti negli episodi di violenza a cui in tanti hanno assistito e di cui vediamo ampi resoconti sui media locali; episodi che si sono conclusi con il ferimento e il ricovero in ospedale di due giovani di origine nordafricana.

Ora, in attesa di capire come siano andate le cose e chi siano i responsabili, la considerazione che ritengo doverosa è questa: la violenza non è mai la risposta a un problema. Mai e poi mai. La storia dovrebbe avercelo insegnato, ma ciò nonostante ci sono gruppi di persone che si riuniscono e inneggiano – come è avvenuto durante il presidio di cui sopra – a una sorta di ribellione contro un sistema che in qualche modo favorirebbe il dilagare della criminalità, della violenza, del degrado. E lo fanno con toni e concetti che trasudano violenza, durezza, intolleranza in nome di una situazione non meglio definita, tratteggiata in modo generico, superficiale, senza tener conto di ciò che dicono la Prefettura e le forze dell’ordine dati alla mano. Poco dopo il presidio sul Pubblico passeggio – e solo le indagini chiariranno se è stato un caso oppure no – assistiamo ad episodi criminali, violenti, degradati e degradanti. Episodi che hanno visto come protagonisti numerosi giovani prendersela con pochi. Alcuni organi di informazione parlano di “rissa a sfondo razziale”, e anche in questo caso sarà l’Autorità giudiziaria a chiarire se sia vero oppure no.

In ogni caso, promuovere la violenza per affrontare problemi (che si verificano in tutte le città italiane, e che qui a Piacenza sono tutt’altro che sottovalutati) non è il nostro modo di pensare e di agire. Anzi, sono convinta che certi toni, certi messaggi, certi slogan siano parte integrante del problema e ne aumentino la portata come benzina lanciata sul fuoco. E a farne le spese, come è avvenuto ieri sera, sono i cittadini per bene, ovvero quelli che si sono trovati ad assistere a uno spettacolo che oltre ad essere criminale è indecoroso e indegno; a farne le spese sono la sicurezza e l’ordine pubblico, che sono cose serie e complesse, e sono la materia di cui si occupano professionisti seri, preparati e titolati.

AGGRESSIONE AL CHEOPE, PD: “CLIMA D’ODIO CHE DA TEMPO STA CRESCENDO”. SI COBAS E CONTROTENDENZA ORGANIZZANO UNA MANFESTAZIONE ANTIFASCISTA IL 2 LUGLIO

Sdegno e indignazione: è quanto esprime il Partito Democratico di Piacenza, a seguito dei fatti accaduti al Cheope. La nota è firmata dal segretario provinciale, dalla segreteria cittadina, dalla Conferenza Donne Democratiche e dai Giovani Democratici.

Il Partito Democratico di Piacenza esprime sdegno e profonda preoccupazione per l’episodio accaduto questa notte nella nostra città. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, un gruppo di circa 40 persone ha aggredito due cittadini stranieri con spranghe e bottiglie, al grido di “ripuliamo la città dagli stranieri”. Una violenza brutale, codarda, che nulla ha a che vedere con il vivere civile e che colpisce al cuore i valori su cui si fonda la nostra democrazia.

Episodi del genere non devono essere minimizzati, perché dietro a questi atti si cela un clima d’odio che da tempo sta crescendo e che oggi esplode in forme sempre più gravi e pericolose.

Non possiamo ignorare la responsabilità morale e politica di chi, nei mesi e negli anni, ha alimentato con troppa leggerezza un linguaggio d’odio nei confronti di migranti e cittadini stranieri.. Quando la propaganda politica fa del “diverso” il bersaglio quotidiano, quando si usano parole come “invasione” o si parla di “ripulire” le città, si legittimano – direttamente o indirettamente – comportamenti violenti e discriminatori. È nostro dovere denunciarlo con forza.

In un momento storico in cui le tensioni sociali rischiano di essere strumentalizzate per dividere e alimentare paure, è dovere della politica e delle istituzioni respingere con decisione ogni istigazione all’odio e riaffermare i principi di umanità, convivenza e rispetto.

Piacenza è una città che sa accogliere, che ha sempre fatto della coesione il suo punto di forza. Non permetteremo che venga trascinata nel baratro dell’intolleranza e della violenza.

Attendiamo che venga fatta piena luce su questa inquietante vicenda e invitiamo tutte le forze democratiche, le associazioni, le cittadine e i cittadini a dire basta all’indifferenza.

Si Cobas e ControTendenza invece hanno organizzato per mercoledì 2 luglio alle 21 proprio al Cheope una “manifestazione antifascisti, uniti contro il razzismo”.

 

AL CHEOPE UNA DOPPIA AGGRESSIONE DOPO IL CORTEO DEGLI ULTRAS

Non una ma due aggressioni nel giro di pochi minuti ai danni di due fratelli algerini presi di mira senza un apparente motivo. Secondo le prime ricostruzioni della rissa avvenuta nella tarda serata di ieri al Cheope sarebbe emerso che nel primo caso il giovane algerino, che si trovava in macchina, sarebbe stato accerchiato da 7/8 persone, che gli intimavano di abbassare il volume della radio in modo pesante e minaccioso. A questo punto il giovane, dopo aver chiamato le forze dell’ordine, si sarebbe allontano per cercare l’aiuto del fratello e del padre.

Una volta tornati tutti e tre all’auto avrebbero riscontrato il furto di cellulare e del portafogli. Lì ad attenderli avrebbero trovato una trentina di persone con il chiaro intento di proseguire l’aggressione. Pugni, scazzottate e anche cinghiate tanto che si è reso necessario l’intervento dei sanitari che hanno trasportato i due fratelli al pronto soccorso.

Da quanto ricostruito finora sembra che gli aggressori avessero partecipato, nella prima serata, al corteo autorizzato organizzato degli ultras della Curva Nord del Piacenza calcio “Tutti in strada contro il degrado”. Ad intervenire, insieme a loro, nella seconda spedizione anche un gruppo di albanesi.

Le forze dell’ordine stanno ricostruendo quanto accaduto anche grazie alle testimonianze delle numerose persone presenti che hanno assistito all’aggressione e ai filmati prodotti nel corso del corteo. Il fatto ha creato paura e momenti di apprensione tra gli avventori della gelateria e del bar che si affacciano proprio su via IV Novembre.

FETO RITROVATO NEL CESTINO DEI RIFIUTI DEL PRONTO SOCCORSO DELL’OSPEDALE. “POTREBBE AVERE ALMENO 26 SETTIMANE”. AL VAGLIO LE TELECAMERE DELLA ZONA

Agghiacciante scoperta questa mattina, poco dopo le 6.30, nei bagni del Pronto Soccorso dell’ospedale di Piacenza; un’addetta alle pulizia ha trovato, nel cestino dei rifiuti, un feto chiuso all’interno di un sacchetto.

Sul posto i militari del Nucleo investigativo hanno effettuato i rilievi scientifici e ascoltato testimoni. Per fare luce sulla vicenda saranno visionate le telecamere di sorveglianza della zona e dell’ospedale. È quasi certo che chi ha lasciato il feto nel cestino lo abbia fatto nel corso della notte. Il direttore del Presidio Unico, Franco Federici, ha affermato che il feto avrebbe un’età superiore alla 26esima settimana. Ma la risposta certa ci sarà solo dopo i riscontri diagnostici predisposti dall’autorità giudiziaria”. “Il bagno in cui è stato trovato il feto era pulito – ha spiegato Federici – non sono state rinvenute tracce di liquido amniotico”. Tra le ipotesi, dunque, c’è anche quella che l’espulsione del feto sia avvenuta altrove.

Saranno eseguite delle analisi su alcune macchie di sangue rinvenute nell’area dove è stato ritrovato il feto; non si tratta di una vera e propria scia, ma di macchie, anche all’esterno del bagno, che sono state notate successivamente e quindi collegate al ritrovamento. Le tracce potrebbero comunque essere utili per indicare un percorso e poi in seguito dare informazioni sull’identità della persona che ha perso sangue.

SERVIZI SOCIALI: “MAI RICEVUTE SEGNALAZIONI DI COMPORTAMENTI VIOLENTI O MINACCIOSI DALLA FAMIGLIA DELLA 13ENNE”

I Servizi Sociali del Comune intervengono, con una nota, sulla tragedia che colpito Aurora e la sua famiglia, su cui gli inquirenti stanno cercando di fare luce lavorando senza sosta.

“I Servizi sociali del Comune di Piacenza conoscono da tempo la situazione dell’intero nucleo familiare di Aurora e, come da disposizioni ricevute, la tengono monitorata congiuntamente agli operatori Asl.

Da parte della madre di Aurora, i Servizi avevano raccolto alcune comunicazioni riferite al ragazzo frequentato dalla stessa figlia minore; la signora lo riteneva una compagnia non gradita e riferiva una certa difficoltà a gestirne la presenza in casa, a volte anche notturna. Tuttavia la madre della 13enne non ha segnalato ai Servizi sociali comportamenti violenti da parte del ragazzo e non ha mai comunicato di aver sporto denuncia alle Forze di Polizia.

Da parte della ragazza, per tramite dell’educatrice che periodicamente la incontrava, i Servizi sociali erano a conoscenza del rapporto con il minorenne in questione; un rapporto personale che in un’occasione è stato descritto come segnato dalla gelosia da parte del 15enne ma senza che venisse fatto riferimento a suoi comportamenti minacciosi o violenti.

Si tenga conto che gli incontri tra la ragazza e l’educatrice professionale incaricata dai Servizi sociali del Comune inizialmente si svolgevano una volta alla settimana ma nell’ultimo mese la frequenza era salita a due volte alla settimana proprio per seguire maggiormente la giovane in una fase importante della sua vita, ovvero l’inizio del primo anno di Scuole superiori.

In nessun caso, comunque, segnalazioni di comportamenti violenti o anche solo minacciosi sono state fatte ai Servizi sociali né dai familiari di Aurora né da altre persone”.

Questi sono passaggi fondamentali, in cui i Servizi ribadiscono che la situazione familiare, così come il rapporto difficile con il 15enne, erano sotto la lente, ma mai, da parte dei familiari, si sarebbe fatto riferimento a comportamenti minacciosi o violenti.

“Se tali segnalazioni fossero state fatte – si sottolinea nella nota – i Servizi sociali avrebbero di certo provveduto ad allertare le Forze dell’ordine, anche eventualmente sporgendo denuncia direttamente, come avviene di norma in caso di segnalazioni del genere e come infatti è avvenuto in numerose occasioni.

I Servizi sociali del Comune, i suoi dirigenti e i suoi operatori professionali, e naturalmente gli amministratori dell’Ente, si sono immediatamente messi a totale disposizione degli inquirenti per qualsiasi esigenza ritengano di avere nello svolgimento del proprio lavoro investigativo.

Un lavoro delicato che si spera possa far luce su un episodio che ha colpito tragicamente la famiglia e gli amici della giovane Aurora e che ha scosso nel profondo un’intera comunità. Al dolore di chi era legato alla ragazza partecipano anche gli operatori dei Servizi sociali comunali e gli educatori che con lei e con la sua famiglia avevano avuto contatti e hanno tutt’ora contatti nello svolgimento di un lavoro più complesso di quanto possa immaginare chi non ne conosce le dinamiche”

“AURORA HA CERCATO DI AGGRAPPARSI ALLA RINGHIERA, MENTRE LUI LA COLPIVA”. L’AGGHIACCIANTE ACCUSA DEL TRIBUNALE

La scena si riempie di particolari che vanno a comporre un quadro sempre più chiaro. Come se l’immagine di quanto accaduto quel venerdì mattina di autunno si facesse nitida e trasparente. Qualcuno avrebbe visto la scena e l’avrebbe raccontata agli inquirenti che stanno lavorando, senza sosta, per cercare di chiudere il cerchio.

Un testimone oculare avrebbe descritto i due ragazzini sul terrazzo del settimo piano; lei che viene spinta oltre la ringhiera e cerca, in ogni modo, di restare aggrappata alla vita, “ma il 15enne, a quel punto, l’avrebbe colpita ripetutamente alle mani con l’obiettivo di farla cadere” nel vuoto. E’ l’accusa del Tribunale. Agghiacciante. Aurora si sarebbe resa conto di quanto stava accadendo. Il ragazzo ancora nega, affermando di aver assistito inerme alla scena mentre lei si gettava nel vuoto. Questo è ciò che va ripetendo dal carcare minorile di Bologna dove si trova da lunedì.

Dall’esame autoptico emergeranno altri dettagli che potrebbero andare a rafforzare il quadro accusatorio, confermando quanto ricostruiti dagli inquirenti. In particolare, se sotto le unghie della 13enne venisse trovato DNA del ragazzo significherebbe che c’è stata una colluttazione precedente la caduta.

La madre, la sorella e le amiche non hanno mai creduto al gesto volontario; “l’ha buttata giù lui, non era pazza né depressa, è stata l’ennesima vittima di violenza”, aveva scritto la sorella maggiore sui social. La madre racconta di una relazione che la figlia voleva interrompere ma che il ragazzo cercava di recuperare in ogni modo: appostamenti, messaggi, ogni azione al limite dell’ossessione. Perché per lui Aurora era diventata un oggetto da possedere ad ogni costo, per appagarlo e farlo stare bene. Lei invece con lui aveva paura, voleva smettere di vederlo, troncare ogni rapporto, ma non ci è riuscita. Ha chiesto aiuto ma forse non è bastato. La seguiva, la strattonava in mezzo alla strada, come è accaduto poche settimane fa alla stazione degli autobus, le impediva di telefonare alle amiche, di divertirsi come una 13enne ha il sacrosanto diritto, di fare esperienze, di conoscere gente nuova. C’era solo e unicamente lui. Malato di lei.

“RESTERAI SEMPRE IL MIO PICCOLO ANGELO. LUI ERA OSSESSIONATO”, LO SFOGO DELLA SORELLA DELLA 13ENNE MORTA DOPO LA CADUTA. IL RAGAZZO INDAGATO PER OMICIDIO

Omicidio volontario. L’indagine sulla morte della 13enne precipitata dal tetto del palazzo dove abitava, in via IV Novembre, è per omicidio volontario e, in vista dell’autopsia, il 15enne che era con la ragazza è stato indagato e ha ricevuto un avviso di garanzia. Interrogato per ore, poi è stato rilasciato. Questo è il filone che la Procura sta seguendo per fare luce su quello che è accaduto su quel terrazzo.

Poi c’è tutto il travaglio e l’angoscia che un fatto così grave porta con sé. E allora diventano fondamentali, anche per le indagini, la famiglia della ragazzina, gli amici, coloro che rientravano nella cerchia più stretta delle conoscenza. Proprio chi la conosceva meglio esclude che possa trattarsi di un gesto estremo. La madre definisce il rapporto tra la figlia e il 15enne tormentato e problematico. La sorella sui social parla di un’ossessione “lei ha provato in tutti i modi a liberarsi di questo reietto”, e ancora “ti amerò per sempre mio piccolo angelo”.  E mentre la Procura di Bologna precisa che tutte le ipotesi restano, per ora, aperte “non è ancora possibile esprimersi – viene sottolineato – sulla natura accidentale o volontaria della caduta, né se la stessa sia stata procurata da terzi”, la sorella scrive quella parola che non vorremmo più leggere, femminicidio.

 

RESTA IN CARCERE IL 27ENNE INDAGATO PER LO STUPRO IN VIA SCALABRINI

Resta in carcere il 27enne guineano che ha cercato di violentare la donna ucraina domenica mattina in via Scalabrini. Il giudice Stefano Brusati ha deciso così perché ci sarebbero il pericolo di fuga e la reiterazione a gravare sull’uomo che deve rispondere di violenza sessuale aggravata e lesioni.

L’avvocato difensore Nadia Fiorani aveva chiesto la scarcerazione; il giudice invece ha accolto la richiesta del pm Ornella Chicca sulla custodia cautelare sottolineando «l’estrema gravità del fatto e della condotta» e «la totale mancanza, in capo all’indagato, di freni inibitori e di come lo stesso sia rimasto del tutto incurante, anche davanti alle grida di aiuto della vittima e del suo tentativo di opporsi agli abusi».

Intanto continua a far discutere, oltre che infiammare il dibattito politico nazionale, la diffusione e la pubblicazione del video di pochi secondi che documenterebbe la violenza. Per questo la Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo a carico di ignoti; il reato ipotizzato è divulgazione di generalità o immagini della persone offesa da atti di violenza sessuale. Inoltre un decreto di sequestro del video risulta notificato dalla Procura di Piacenza ad alcuni media.

Ed è proprio da quel video che la donna ucraina è stata riconosciuta “sono disperata” ha riferito ad un’agenzia di stampa e agli inquirenti che l’hanno sentita “ha manifestato un forte disagio per la diffusione del video” che ha girato in rete per un paio di giorni, pubblicato da alcuni mezzi d’informazione e condiviso anche dalla leader di FdI Giorgia Meloni accusata di aver strumentalizzato la vicenda a fini elettorali.

Sta di fatto che oggi c’è una vittima violata nella sua intimità, che porterà i segni di ciò che ha subito per sempre nell’animo.